Simone Vallerotonda

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Sette domande a Simone Vallerotonda

Intervista pubblicata sulla rivista “Musica” – Luglio-Agosto 2013
Autore: Nicola Cattò

Come è approdato a questo repertorio?
Si tratta di un repertorio che io amo molto e che è fondamentale per gli strumenti che suono: se guardiamo alla letteratura composta per la famiglia del liuto a partire dal Cinquecento, la musica francese della prima metà del XVII secolo è uno dei pilastri. Quanto al titolo, ci sono due motivi, uno più personale e uno storico: anzitutto ho dovuto realizzare l’incisione interamente di notte, l’anno scorso, ma non per un capriccio da artista maledetto ma perché, nella bella chiesa di Ginestreto, nelle Marche, in cui lavoravamo, c’era un nido di rondini che tubavano tutto il giorno! Più seriamente, la musica di de Visée veniva suonata di notte, nella camera personale del Re Sole: era l’unico musicista dell’Académie Royale che il re ammetteva nelle sue stanze, al mattino e alla sera, per allietarlo.

Quali le peculiarità stilistiche della musica di Francesco Corbetta?
Veniva considerato anche dai suoi contemporanei come il più grande chitarrista di ogni tempo: come si racconta anche nel booklet, ebbe una vita molto avventurosa, attraversò tutta l’Europa, si vantava di non avere mai preso una lezione di liuto, inventò un gioco d’azzardo per il quale dovette scappare dall’Inghilterra. Musicalmente è l’autore che più di ogni altro seppe tirare fuori ogni risorsa dalla chitarra, sia a livello di possibilità timbriche che di resa sonora: tenga presente che la chitarra barocca «non suona», è priva di bassi, non ha sostegno, e quindi in ogni battuta bisogna inventarsi la soluzione migliore, tramite combinazioni di corde a vuoto, campanelas, accordi. Tutto questo Corbetta lo fa come nessun altro.

Quali strumenti ha utilizzato per il CD?
Due strumenti di un mio caro amico liutaio, copie di strumenti originali; una tiorba viennese del 1620 e una chitarra costruita sul modello voboam, un antenato dello strumento « a otto» e con fondo piatto. Una delle chitarre che, sappiamo, Corbetta aveva come modello.

Quali sono poi i legami fra la musica di Corbetta e quella di Robert de Visée?
Sono molti, anche a livello biografico: l’italiano è morto a Parigi perché era approdato a quella corte del Re Sole in cui il francese era chitarrista ufficiale, ed inoltre De Visée
aveva dedicato un tombeau « à Monsieur Corbette ». Ci sono testimonianze, infine, che i due si esibirono insieme davanti al Re. A livello stilistico vediamo che Corbetta inizia in uno stile decisamente italiano mentre alla fine (nella Guitarre royalle) esso si rivela prettamente francese, sovrapponibile a quello del suo collega: non solo per la retorica degli abbellimenti e degli affetti, ma anche per un certo gusto nella combinazione dell’elemento popolare a sfumature molto raffinate da eseguirsi con la mano sinistra.

Attraverso quale percorso è arrivato a questi autori?
Il mio percorso è piuttosto tradizionale: ho iniziato da piccolo con la chitarra tradizionale e a diciotto anni ho acquistato il mio primo liuto, senza saperne nulla ma affascinato dalla musica antica. Ho quindi studiato a Roma con Andrea Damiani, e poi sono andato all’estero per perfezionarmi con quello che considero il più grande chitarrista/tiorbista/ liutista, Rolf Lislevand: ho frequentato con lui un master di due anni e mezzo in Germania, e ho rivoluzionato la mia tecnica e la mia visione della musica, cercando (proprio come faceva Corbetta) la maggiore risonanza possibile nel modo di suonare questi strumenti, «scavandoli» il più possibile. Proprio attraverso lui ho apprezzato la musica di Corbetta, che prima non riuscivo a capire.

Che pubblico c’è in Italia per questo repertorio?
Per certi versi è un disastro, e la maggior parte del mio lavoro si svolge all’estero; sarei molto felice di suonare più frequentemente in Italia, ma dobbiamo lamentare una diffusa disattenzione e una scarsa conoscenza. E` persino difficile far capire alle persone quale mestiere io svolga, cosa sia un liuto! Io sono legato moltissimo a Roma, la mia città, che è un teatro barocco vivente, e mi piacerebbe tantissimo che ci fosse un festival barocco per
potervi suonare: ma manca la pazienza di creare una diffusione di base che dia al pubblico un minimo di nozioni storiche e musicali. Anche perché dopo i miei concerti il pubblico reagisce meravigliato per quanto è moderna questa musica!

Quali altri compositori Le piacerebbe presentare in disco?
Due in particolare: anzitutto vorrei incidere un’opera dell’ultimo liutista italiano, Giovanni Zamboni, autore nel 1718 di una bellissima raccolta di Sonate per arciliuto. Siamo in un periodo molto tardo nella parabola di questo strumento, eppure queste pagine sono una meraviglia continua, con rimandi a Corelli, ricche di fughe; pensi che sono ancora scritte come intavolatura! Anche Zamboni era un personaggio strano, di professione arrotino, ma uno dei maggiori esperti di contrappunto dell’epoca: e il suo stile è in perfetto equilibrio fra il tardo Seicento e il nuovo gusto galante del Settecento italiano. E poi mi piacerebbe anche dedicarmi a Kapsberger… chissà!

Nicola Cattò